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Torre a Mare, un parroco scrive a Totò Riina: “Non deve tornare a casa”

Torre a Mare, un parroco scrive a Totò Riina: “Non deve tornare a casa”

Da circa due anni Totò Riina non è più rinchiuso in carcere, ma ricoverato all’ospedale Maggiore di Parma. In attesa che il tribunale di sorveglianza di Bologna si esprima sull’eventuale scarcerazione, Riina resta in una sorta di stanza segreta della clinica universitaria di Parma, dove è ricoverato dal 5 novembre. Nel vivo dibattito scatenato dall’ipotesi di scarcerazione per il boss di Corleone, si inserisce anche don Fabio Carbonara, parroco del quartiere barese di Torre a Mare, che con una lettera aperta per Totò Riina postata sul proprio profilo Facebook ha operato una duplice richiesta: “Giustizia e rispetto”. Un auspicio condito da delle motivazioni: “Le auguro di vivere la sua vecchiaia in maniera dignitosa, con tutte le cure mediche e ospedaliere di cui lei avrà bisogno e che è giusto e doveroso che lo Stato garantisca a ogni individuo. Perchè noi in questo ci crediamo. In carcere o in ospedale, però. Ma a casa no. A casa proprio no” esordisce il testo scritto dal sacerdote, la cui tesi è sostenuta da tanti frequentatori dei social. “Vede, Riina: a me piacerebbe non credere solo nella Giustizia divina – scrive don Fabio – Troppo facile, troppo comodo. Guardì le dirò di più: io credo in Dio, ho dato la mia vita per questo ma dato che anche il Papa ci ricorda che avere dubbi…”.

Lettera aperta indirizzata al boss di Corleone

Macchie indelebili, quelle di mandante “di omicidi come Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Basile, Montalto, Chinnici e tanti, tanti altri” scrive don Fabio Carbonara. “La sua vita è troppo famosa. Tristemente troppo famosa. La mia generazione, e almeno due generazioni prima e due dopo, ha studiato le sue porcate sui libri, nemmeno come fosse la celebrità più importante del momento. Le abbiamo studiate quando abbiamo parlato di mafia, quando ci hanno spiegato cosa fosse Cosa nostra”. Don Fabio non dimentica neppure le minacce a Don Ciotti: “Qualcuno, anche del mio ambiente, con la scusa di questa Misericordia (che è ben altra cosa da quella che invocano ora i suoi difensori) ha ipotizzato addirittura un suo pentimento. Mi possa bruciare un fulmine se lei si è pentito, lei che nemmeno due anni fa continuava a ordinare dal carcere di uccidere Ciotti”. La convinzione è una sola: “Io penso – rimarca don Fabio – che ci sia bisogno di quella giustizia terrena che possa far capire alle nuove generazioni che nella vita si pagano le colpe e che le sue colpe sono da pagare fino all’ultimo, fosse altro per dar senso a quelle due parole che lei sicuramente non ha mai esercitato: giustizia e rispetto”.


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