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Labrador per i piccoli del reparto Oncoematologia di Bari

Labrador per i piccoli del reparto Oncoematologia di Bari

Un labrador a disposizione per i piccoli malati di tumore del reparto Oncoematologia del Policlinico di Bari. Una nuova idea che coinvolgerà la piccola Megan, un cane di cinque anni che ogni due settimane incontrerà singolarmente i piccoli pazienti per una seduta di “pet care” così da aiutarli ad affrontare il dolore e le pesanti terapie a cui sono sottoposti.

La sperimentazione è nata dall’idea di un padre addestratore cinofilo e grazie al supporto dell’associazione Apleti (Associazione pugliese per la lotta contro le emopatie e i tumori dell’infanzia). Il piccolo labrador Megan incontrerà due volte al mese per trenta minuti circa a testa i piccoli pazienti oncologici per delle sedute di pet care e gioco.

Una sperimentazione innovativa, nel campo delle terapie psicologiche sulle malattie oncologiche, per la quale si attendono grandi risultati. L’intera comunità scientifica è concentrata su come il labrador possa essere in grado di lavorare sulla stabilità emotiva dei bambini coinvolti e dei loro familiari: autostima, sicurezza, capacità di relazione, saranno solo alcuni dei punti su cui si concentra il progetto, il cui obiettivo finale è lavorare ed incidere sulla percezione del dolore dei pazienti del reparto.

L’idea è nata dall’esperienza di un papà della città di Carovigno, Teodoro Semeraro, addestratore cinofilo, che così ha potuto aiutare suo figlio a superare le fasi più dure di una patologia capace di coinvolgere fisico e psiche, una leucemia che lo aveva colpito durante i primi due anni e mezzo di vita, accompagnata dal supporto positivo di Ettore, il bull dog francese di famiglia. Il genitore ha pensato di sviluppare a tal riguardo un progetto dedicato al supporto delle fasi più pesanti delle terapie oncologiche, il tutto accompagnato da controlli e verifiche continue.

Il 2 maggio l’iniziativa ha avuto il via ufficiale, si spera con ottime prospettive che le condizioni di salute, emotive e relazionali dei pazienti possano migliorare come quelle del piccolo di Carovigno, mitigando il dolore accusato dalle terapie e ottimizzando i percorsi compensativi di guarigione.


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