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Ci sono sapori che non hanno bisogno di presentazioni. Le cartellate pugliesi appartengono a questa categoria di gesti rituali che si ripetono ogni anno, in famiglia, davanti a un tavoliere infarinato e a un pentolone di olio bollente. Sono dolci di Natale, sì, ma anche simboli di legami antichi, di donne che impastano e raccontano, di infanzie che si ripetono, cambiano, ma restano fedeli a un profumo: quello del vincotto.
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Le cartellate pugliesi nascono da un impasto semplice: farina, vino bianco, olio extravergine. Si stende la sfoglia sottile, si taglia con la rotella dentata e si arrotola a spirale, creando piccole rose traforate. Dopo la frittura, arrivano le due grandi scuole di pensiero: vincotto (mosto cotto) o miele caldo. In entrambi i casi, la cartellata si impregna di dolcezza e diventa una festa per il palato. Il contrasto tra la croccantezza della sfoglia e lo sciroppo avvolgente è ciò che la rende unica. Nulla è lasciato al caso: ogni cartellata è un’opera d’arte da mangiare con le mani e con il cuore.
L’origine delle cartellate pugliesi si perde nei secoli. Alcuni le fanno risalire all’epoca greco-romana, altri le vedono come un dono natalizio di ispirazione cristiana: la loro forma ricorderebbe l’aureola o la corona di spine di Cristo. In ogni caso, sono parte del patrimonio simbolico e gastronomico della cultura pugliese natalizia. Nelle varianti baresi, salentine o murgiane cambiano piccoli dettagli, come la spolverata di diavolini di zucchero multicolori, ma il senso resta identico: fare comunità attraverso la cucina.
Parlare di varianti per un dolce simbolico come le cartellate pugliesi è un esercizio che richiede rispetto e delicatezza. Le cartellate sono un patrimonio emotivo e culturale, e ogni possibile rivisitazione non può che essere fatta in punta di piedi. Alcune famiglie, da anni, arricchiscono l’impasto con un pizzico di cannella, evocando profumi antichi senza alterare l’identità originaria del dolce. Qualcuno osa sostituire il vincotto utilizzando il cioccolato fuso (fondente o bianco), versato a filo per creare un equilibrio tra innovazione e memoria. Non si tratta di reinventare, ma di suggerire sfumature. Senza dimenticare che, in molte tavole della tradizione, le cartellate si accompagnano ai calzoncelli ripieni di marmellata, mandorle o noci, ricoperti dall’immancabile vincotto. Una combinazione di dolci natalizi pugliesi che raccontano storie diverse, ma parlano la stessa lingua: quella dell’appartenenza.
Scrivere delle cartellate significa camminare su un terreno sacro. Per questo, l’invito che rivolgiamo al lettore è semplice: provate la ricetta tradizionale, condividetela, e solo dopo — se volete — lasciatevi ispirare da qualche variante. Ma fatelo sempre con la consapevolezza che ogni cartellata è un piccolo monumento al tempo che passa e resta.
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