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Nonna stalker a Lecce, divieto di avvicinamento a ex marito e nipotina

Nonna stalker a Lecce, divieto di avvicinamento a ex marito e nipotina

Una stalker in famiglia. E’ la disavventura capitata a una nonna pugliese di 59 anni: la donna non aveva mai superato il fatto di essere stata lasciata dal marito, un medico di un ospedale di Lecce, che le aveva “preferito” una infermiera che lavorava con lui. Così, dopo alcuni episodi di ingiuria in reparto, avvenuti nel maggio 2015, durante la scorsa estate, il 12 luglio, si era presentata a sorpresa presso lo stabilimento balneare dove l’uomo stava trascorrendo ore di relax, definendolo “uomo di m…” il medico e “zoc…” l’infermiera. Il tutto in presenza della nipotina di 6 anni, che la donna aveva anche cercato di portare via prendendola per il braccio.

Il pianto della piccola una prova “emblematica” per la Corte di Cassazione

Una condotta che ha destato nella Cassazione “un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”. Così la Corte ha confermato il divieto di avvicinamento nei confronti della giovane nonna, di avvicinarsi ai luoghi frequentati dall’ex marito e dalla sua compagna nell’ambito dell’indagine aperta dalla Procura di Lecce. «Il delitto di atti persecutori – si legge nel provvedimento – consiste in un reato abituale per integrare il quale serve che la condotta sia reiterata, non essendo sufficiente al singola condotta». «Sulla base di tali principi, – prosegue il verdetto – si osserva che immune da censure si presenta la valutazione del Tribunale secondo cui la cadenza e le modalità in un arco temporale ravvicinato delle condotte descritte, integranti una vera e propria azione concentrica, posta in essere al fine di minare l’equilibrio psichico delle parti offese su più fronti, sono idonee ad integrare il grave quadro indiziario nei confronti dell’indagata». Così il ricorso della signora contro la misura cautelare, convalidata dal Tribunale della libertà di Lecce lo scorso 15 ottobre, è stato rigettato. Senza successo il suo legale aveva sostenuto che si era solo trattato di scenate di poco conto prive «degli elementi caratterizzanti il reato di stalking, quali le continue telefonate, i pedinamenti ed appostamenti sotto casa, le frasi e gli atteggiamenti chiaramente intimidatori». Per la Cassazione il pianto della nipotina basta e avanza come prova «emblematica».


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