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Frattura del femore, al “Di Venere” trattata con realtà virtuale

“Il sistema è una novità assoluta anche in campo europeo.”
Frattura del femore, al “Di Venere” trattata con realtà virtuale

Trattare la frattura del femore utilizzando la realtà virtuale, preziosa “alleata” degli occhi e delle mani del chirurgo ortopedico. L’Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale “Di Venere” di Bari, con le prime 20 operazioni già eseguite con questo sistema tecnologico, ha varcato la nuova frontiera dell’innovazione applicata ad uno degli interventi preso a modello da Agenas per misurare la qualità e l’efficacia del sistema sanitario: la riduzione della frattura del collo del femore.

La novità è racchiusa nell’acronimo EBANAV (Endovis Bio Advanced NAVigator), un sistema di navigazione virtuale che permette ai chirurghi ortopedici di visualizzare il campo operatorio in tre dimensioni e a 360 gradi, con notevoli vantaggi in termini di precisione millimetrica e quindi di azzeramento dei margini d’errore, riduzione delle radiazioni ionizzanti, oltre a tempi d’intervento – circa 25 minuti – ridotti e resi omogenei rispetto alle tecniche tradizionali.

Il sistema, un’anteprima per la Asl Bari e la Regione Puglia e insieme una novità assoluta nel panorama europeo, nasce dall’intuizione e dall’esperienza sul campo degli operatori sanitari del “Di Venere”.

Settore ortopedico, nuove prospettive di sviluppo con realtà virtuale

«L’ingresso della realtà virtuale in sala operatoria – spiega il Direttore Generale ASL Bari, Antonio Sanguedolce – apre nuove prospettive di sviluppo nel settore ortopedico ma non solo. È il risultato di un lungo lavoro e della capacità di diverse competenze, mediche, tecniche e imprenditoriali di operare in stretta collaborazione per trasformare l’innovazione tecnologica in un fattore di progresso delle tecniche chirurgiche e, insieme, di miglioramento dell’assistenza sanitaria per i pazienti, che rappresentano il fine ultimo attorno al quale ruota l’azione della nostra azienda sanitaria».

Grazie ad una unità di elaborazione e visualizzazione computerizzata e al posizionamento – assolutamente non invasivo – di un sistema di sensori al paziente, all’amplificatore di brillanza (l’apparecchiatura radiologica che permette di visualizzare l’arto su cui intervenire) e allo strumentario, l’ambiente operatorio viene trasposto dal mondo reale a quello virtuale. «L’ortopedico – spiega il dr. Caiaffa – in sostanza può operare guardando un monitor sul quale vengono riprodotte immagini in continuo e in tre dimensioni dell’articolazione, evitando i macchinosi passaggi da un’immagine fissa all’altra della tecnica tradizionale».

EBANAV, come agisce il sistema sulla frattura

Ridurre la frattura e stabilizzarla con il chiodo diventa così un’operazione più semplice, in cui i “limiti” umani dell’operatore vengono superati dalla navigazione virtuale, capace di guidare l’atto chirurgico con la riproduzione in 3D, estremamente precisa, del posizionamento del mezzo di sintesi. La realtà virtuale, in tal modo, permette di vedere in ogni momento dove è collocato il nostro sistema nello spazio e rispetto alla frattura del paziente, oltre che consentire un’alta predittività delle misure dell’impianto.

Con vantaggi tangibili, innanzitutto per la procedura chirurgica: «La precisione dell’intervento – sottolinea Caiaffa – prima era affidata alla manualità, all’esperienza e all’intuito dell’operatore che, interpretando le immagini fisse e a due dimensioni dell’amplificatore di brillanza, riusciva a raggiungere il risultato finale. Oggi, con questo sistema innovativo si standardizza, affina e migliora tutto il processo, alzando sensibilmente il livello medio degli interventi sul femore per risultati, qualità e tempi d’esecuzione, ormai sovrapponibili rispetto a quelli tradizionali. In più si evitano scarti troppo evidenti tra i tempi d’intervento dei diversi chirurghi». E con ricadute importanti per il paziente, che può giovarsi della sicurezza e affidabilità dell’intera procedura: standardizzazione del punto di ingresso nel femore, dove viene eseguita un’incisione cutanea minima di circa 4 centimetri; abbattimento dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti; omologazione dei tempi chirurgici indipendentemente dall’esperienza dell’operatore, abbattendo così i rischi per il paziente e per lo stesso chirurgo.


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